ATTRARRE I TURISTI, COLLABORARE E STARSENE ZITTI: come la località di Monginevro protegge l’ordine della frontiera. Uno sguardo sul Monginevro
Pubblichiamo e condividiamo un interessante sguardo sulla situazione nella località sciistica del Monginevro, sul panorama turistico, a pochi giorni dall’ apertura della nuova stagione sciistica.
(testo liberamente tradotto dal lavoro svolto da derootees.wordpress)
Settembre 2019
Il comprensorio sciistico della Via Lattea si estende su tutta l’area di confine tra la Francia e l’Italia: qui la frontiera si situa sul passo che separa le località di Montgenèvre (Francia) e Clavière (Italia). Dal 2017, lo scenario quotidiano di questi due villaggi è stato sconvolto dagli arrivi regolari, a volte cospicui, di stranieri considerati “irregolari”, ma anche dal rafforzamento dell` apparato poliziesco per i controlli alla frontiera e dai giornalisti arrivati per mediatizzare la situazione. Decine di abitanti e a volte anche i turisti riferiscono di aver assistito a “rincorrimenti” o a “caccia all’uomo” quando gli agenti di polizia di frontiera (PAF) cercano di fermare le persone che identificano come “migranti” irregolari,che sia in paese, sulle piste da sci o in montagna lungo i sentieri.
Tuttavia, in due anni, il municipio di Monginevro non ha mai fatto una dichiarazione ufficiale rispetto le persone di passaggio o sui controlli presenti sul suo territorio. Non vi è alcuna relazione dei consigli comunali, nessuna lettera informativa distribuita agli abitanti che ne parli; non è mai stata fatta menzione delle persone che sono morte dall’anno scorso nel comune di Monginevro attraversando la frontiera.
Durante la mia indagine, io stesso ho notato il rifiuto del municipio di commentare gli eventi ignorando o respingendo le mie richieste di interviste: cosi ha fatto la direzione dell’ufficio turistico, la direzione dell’impianto sciistico e l’ufficio del sindaco. L’assenza di un discorso pubblico sulla “situazione migratoria” da parte del municipio risulta ancor più sorprendente visto che il sindaco di Monginevro, Guy Hermitte, è l` ex direttore della PAF di Monginevro, e che nel corso della sua carriera è addirittura passato alla direzione centrale della PAF di Parigi.
Il fatto che questi aspetti (presenza di esuli e controlli della polizia)vengano sempre tralasciati nelle comunicazioni ufficiali accessibili online (cioè a turisti e investitori), dimostra semplicemente che, nell’immagine che il Comune vuole dare di sé non ci sono stranieri “migranti”, non ci sono frontiere.
Più sorprendentemente é invece il silenzio da parte degli abitanti e dei lavoratori di Monginevro. Le difficoltà che ho incontrato nel condurre questa ricerca (alcuni residenti hanno addirittura minacciato di chiamare la polizia se avessi continuato a indagare nel villaggio) mi hanno dimostrato che quel silenzio, lungi dall’esprimere disinteresse, era in realtà un vero tabù. E lo scopo di questo tabù è quello di proteggere un ordine che ho apertamente sfidato e provocato con il mio desiderio di “far parlare”.
Questo articolo è un estratto da un documento di ricerca M2 presentato nell’agosto 2019. Quando ho condotto la mia indagine sul campo degli abitanti di Clavière e Monginevro tra gennaio e maggio 2019, ho scoperto che per molte persone, partecipare alla mia ricerca era fonte di paure personali. Ho quindi scelto di rendere completamente anonimi i nomi dei residenti e dei lavoratori della zona di confine che cito in questo articolo: le iniziali non corrispondono quindi ai loro veri nomi.
Contatti con la polizia
La prima cosa da capire è che in questi piccoli villaggi, “tutti si conoscono”. In uno spazio sociale così piccolo, i lavoratori dei villaggi frontalieri, che non hanno un legame a priori con la polizia, ma che hanno comunque a che fare con essi ogni giorno, finiscono spesso per socializzare con gli agenti. La diffusa presenza della polizia all’interno del villaggio ha l’effetto più concreto di impedire a molti residenti, per paura dell’arresto, l espressione della solidarietà con gli esuli che attraversano la zona di confine. I turni di pattuglia che si danno permettono alla polizia di affermare la propria presenza forte e il proprio predominio sul territorio.
“Abbiamo dei gendarmi permanentemente accampati fuori casa. Ci penserò due volte se so che ci sono poliziotti laggiù. (…..) Sapendo che li incontreremo sempre, sempre, sempre, sempre, fuori casa…..”. (Intervista con S, residente, 19/02/2019).
La presenza della polizia, diffusa e discreta, ma permanente nel villaggio dall’autunno 2018, ha creato un clima da ambiente sorvegliato, ha creato sfiducia e paura.
D’altra parte, le relazioni interpersonali svolgono un ruolo fondamentale nel sostegno di una parte della popolazione al lavoro di polizia. Durante le mie sessioni di osservazione alla stazione di Briançon, ho visto agenti di polizia “baciare” i passeggeri dei treni che salivano sci in spalla nel bel mezzo di un’operazione di controllo.
Denunciare
Una guida alpina ci ha raccontato che 15 anni fa, nel residence “Village du Soleil”, i migranti si erano sistemati sulle sedie della reception. Dicendo “Va tutto bene, siamo in Francia “, la direzione dell’epoca aveva chiamato la gendarmeria (…..).
Due anni dopo, nel 2018, mentre trasportava una persona di colore in ospedale, una residente è stata denunciata alla polizia dall’ex maestro di sci dei suoi figli, e lei è stata arrestata.
Accade anche che alla stazione degli autobus di Monginevro, gli autisti degli autobus facciano pagare il biglietto a chi vuole scendere a Briancon per poi chiamare la polizia per fermarli e riportarli al confine.
Sulle piste da sci invece, sono le radio a essere usate dai pattugliatori e dai lavoratori degli impianti di risalita per avvertire i responsabili (direttamente collegati con la PAF) della presenza di persone sospettate di essere “migranti”. Il sistema radio della stazione sciistica sta diventando lo strumento privilegiato per il controllo e il pattugliamento del confine, in quanto consente una comunicazione efficace e rapida in tutta l’area sciistica francese.
Le denunce hanno creato un’ atmosfera di sospetto generale in tutto il villaggio di Monginevro: quando i residenti si rivolgevano a me in spazi pubblici, abbassavano sistematicamente la voce per paura di essere sentiti. Molti finiscono con il confrontare la situazione attuale con “Vichy” o “gli anni ’40”. Gli arresti “per delazione” sono stati scioccanti, perché hanno sfidato i legami di fiducia su cui si basano solitamente le interazioni sociali in un villaggio come quello di Monginevro. Il fatto che le “delazioni” siano considerate più gravi degli arresti dimostra come la popolazione locale si sia abituata all’idea che gli stranieri vengano inseguiti e arrestati, purché ciò avvenga nel “quadro ufficiale” da parte degli agenti di polizia ai quali lo Stato delega le proprie violenze “legittime”.
Pressioni sui lavoratori degli impianti per la collaborazione al lavoro frontaliero.
La polizia di frontiera utilizza l’azienda di autobus locale per i respingimenti alla frontiera: secondo il responsabile di questa azienda, la PAF ha richiesto il suo accordo per l’emissione di uno speciale “biglietto di trasporto” che consentirebbe alle persone respinte di rientrare in Italia.
Ma la polizia é andata oltre, sollecitando anche i conducenti degli autobus della linea transfrontaliera a individuare le persone “identificabili” come “migranti”: al valico di frontiera, agli autisti viene chiesto quante persone sono scese a Clavière (l’ultimo villaggio italiano prima del confine) per sapere quante persone “straniere” devono poi cercare e inseguire sui sentieri.
Ancora più sorprendentemente, nel marzo 2019, alla partenza dell’autobus a Oulx, in Italia, osservai un agente di polizia francese in abiti civili dotati di auricolare, avvicinandosi all’autista attraverso il finestrino e chiedendogli: “Quanti?”e l’autista ha risposto: “Stasera non c’è nessuno”. L’ osservazione dei conducenti di autobus permette di stimare in anticipo il numero di persone che dovranno essere cercate in montagna quando ancora si trovano a 20 km a valle, sul versante italiano; affidarsi a loro permette alla polizia di attuare una forma molto discreta e molto efficace di delocalizzazione del controllo.
Quando ho chiesto ai conducenti di autobus se avessero ricevuto istruzioni dalla direzione o dalla polizia riguardo agli “immigrati clandestini”, mi hanno detto di non aver ricevuto alcuna forma particolare di pressione. Tuttavia, queste stesse persone hanno interiorizzato l’obbligo di segnalare alla polizia il numero di persone che sono scese a Clavière: “Devo dirlo. Dipende dalla persona, ma se me lo chiedono, quanti (…..) migranti sono scesi a Clavière? O quante persone sono andate a Clavière? 7 persone. Questo, va detto.”
Quindi, da un lato, l’impressione di agire in un quadro giuridico e procedurale giustifica la cooperazione tra le forze di polizia e l’ impresa di trasporti; dall’altro, il modo in cui la polizia utilizza le informazioni che hanno gli autisti è del tutto assente di qualsiasi inquadramento procedurale o di una direttiva data dell’ azienda.
Per quanto riguarda la località di Monginevro, solo nel giugno 2018 è stata impartita una indicazione programmatica agli autisti dei mezzi, ossia di non prendere a bordo nessun autostoppista: ciò ha avuto l’effetto di ridurre le possibilità per le persone che temono l’arresto da parte della polizia di scendere più facilmente e in sicurezza a Briançon.
In inverno invece non sono state impartite istruzioni ai prorpri dipendenti da parte della direzione degli impianti di risalita. Tuttavia, durante l’inverno 2018-2019, diversi solidali hanno testimoniato di aver visto agenti di polizia a bordo dei battipista (gatti delle nevi) che di notte attraversano le piste per la manutenzione, nonché torce e fari ad illuminare il bosco a ridosso delle piste durante i lavori notturni. Alcuni lavoratori delle piste che ho intervistato su questo argomento hanno dichiarato che: “Quella di entrare nei gatti delle nevi è probabilmente una richiesta della PAF, con l’accordo della dirigenza. Se il capo te lo chiede, devi seguire le istruzioni. Per noi, se ci viene chiesto di andare a recuperare i migranti con una motoslitta, siamo obbligati ad andare.”
Dal dicembre 2017, infatti, attraverso la stazione radio centrale degli impiantisti, la direzione chiede regolarmente di “andare a vedere” quando “ci sono dei migranti”. Ho chiesto a Q. se l’invio di personale era giustificato dalla possibile presenza di persone in pericolo che camminano sulle piste ma lui ha scosso: “Quando veniamo inviati, non necessariamente le persone sono in pericolo. L’anno scorso, la PAF non aveva le motoslitte, quindi se individuavano delle persone, ci mandavano a noi”.
Per la polizia, affidarsi al personale di primo soccorso ha molti risvolti strategici: si trovano in diverse parti del comprensorio, si muovono rapidamente con gli sci e comunicano istantaneamente via radio con loro. La loro partecipazione indiretta alla sorveglianza di frontiera consente quindi di contrassegnare l’intera area sciistica come area di identificazione dei “migranti”.
“La settimana scorsa, ci sono state segnalate delle persone, ci è stato chiesto di andare a prenderle, di tenerle al caldo al punto di soccorso fino a quando la polizia sarebbe venuta a prenderle. È stata la polizia che ha dovuto dire: “Ci sono i migranti, teneteli al caldo, arriviamo” ci dice un addetto alle piste. Il pretesto della presa in carico “al caldo” prima dell’ arresto delle persone è un altro esempio di come il soccorso alpino venga dirottato a fini del controllo del confine.
Per i soccorritori che ho incontrato, è chiaro che le persone che attraversano sono trattate in modo discriminatorio, non come qualsiasi altra persona in pericolo ma come una persona in situazione irregolare: “Se agissimo normalmente, ad esempio per un caso di piedi congelati, chiameremmo per richiedere l’elicottero. Ma [con i migranti], se chiamassimo la stazione centrale, il gestore delle piste chiamerebbe la PAF.”
L’assenza di una dichiarazione esplicita di collaborazione tra la direzione della stazione e la polizia di frontiera mette i lavoratori e le lavoratrici in una posizione delicata per la quale ci si aspetta che cooperino anche se questa cooperazione non rientra nelle loro mansioni. L’ambiguità indotta dal silenzio della direzione rafforza ancor di più la possibilità di interferenza della polizia, che può così “intervenire a suo piacimento ovunque”.
Diversi dipendenti della stazione si pongono la questione della disobbedienza, ma resta troppo forte il timore che le loro azioni possano essere segnalate alla direzione: “Oggi”, dice un lavoratore delle piste, “ci sono webcam in tutta la stazione, e ci sono persone che le guardano. Siamo sotto contratto. Se vedessimo dei ragazzi e parlassimo con loro dicendogli di stare tranquilli che faremmo come se non avessimo visto niente, qualcuno lo potrebbe scoprire. Infatti,(…..) Ci possono essere rappresaglie (attacchi), in particolare da parte della direzione.”
“Abbiamo 4 mesi di stagione garantita, di solito facciamo di più, ma se qualcuno si opponesse al capo, la sua stagione potrebbe venire accorciata.”
La precarietà del lavoro stagionale gioca un ruolo decisivo nel modo in cui i lavoratori percepiscono i rischi legati a un conflitto con la direzione e l’ importanza del loro posto di lavoro .
Neutralità” al servizio degli arresti di polizia
Per quanto riguarda la compagnia di autobus, ci sono importanti questioni economiche in ballo: essa risponde a gare d’ appalto pubbliche, fatte a livello regionale per la linea transfrontaliera, e ha tutto l’ interesse a mantenere l’appalto che viene rinnovato ogni quattro anni.
L’intento di “neutralità” dichiarato, che vorrebbe rendere l’azienda “ineccepibile”(inattaccabile), ha spinto i responsabili a tenere fuori dalla linea Oulx-Briançon tutti i dipendenti che avrebbero rischiato di abbandonare la loro posizione di non intervento di fronte ad alcune situazioni al confine:
“C’ erano due autisti che avevano una leggera inclinazione, da una parte e dall’altra. Le ho spostate su altre linee. (…..) Ora, prima di assegnare qualcuno a questa linea, verifichiamo se sarà in grado di essere neutrale. (…..) Abbiamo ora un numero ridotto di autisti, 6-7 per la linea Briançon-Oulx, e siamo certi del loro comportamento.”
Il controllo di ciò che può accadere al valico di frontiera consiste quindi nella selezione di personale “in grado” di rimanere impassibile di fronte agli arresti.
Questo atteggiamento viene descritto dal manager come segue:
“Non essere aggressivi, mantenere le distanze.”
Ma il direttore dell’azienda si è spinto oltre per assicurarsi che non fosse toccato da ciò che accade in frontiera:
“Abbiamo lavorato con la PAF su questo punto. Perche’ loro volevano che fossimo neutrali, e anche noi. Abbiamo deciso congiuntamente di raggiungere un accordo”.
Così, per assicurarsi questa neutralità, “come la PAF”, l’azienda e la polizia di frontiera hanno organizzato una formazione per gli autisti di linea: in primo luogo, agli autisti è stata ricordata la minaccia di ripercussioni finanziarie sull’azienda se le persone in situazione irregolare avessero attraversato il confine sui loro autobus; poi, è stato definita l’ entità dell’azione, con l a dichiarazione da parte degli autisti “e se c’è un problema, ci sentiamo minacciati, chiamiamo la polizia.”.
Così, la neutralità adottata dall’azienda si rivela ancora dalla parte dell’attività di controllo.
Il manager riassume l’ambiguità della posizione dell’azienda con questa frase: “Senza dire che si tratta di una collaborazione, perché il termine non mi piace, è una non ostruzione. Non hanno nulla da rimproverarci se facciamo il nostro lavoro.”
La “neutralità” dell’impresa di trasporti, che assicura che i suoi dipendenti non intervengano di fronte ai controlli è quindi perfettamente in linea con una idea di ordine sociale pacifico che è dalla parte del lavoro della polizia.
Lo dimostra un aneddoto raccontato: “C’è persino un Commissario di Marsiglia che è venuto a trovarmi personalmente, nel mio ufficio, per congratularsi con me e con l’ azienda per il modo in cui stiamo gestendo il problema. Si stava congratulando perchè a quanto pare hanno molte più difficoltà sul lato di Menton/Vintimille.”
Il direttore dell’azienda ha poi concluso: “Questo è ciò che ha indotto la Direzione a riassegnare la linea.”
“Va tutto bene”: preservare un’immagine candida, preservare l’ordine sociale.
“Non c’è nessun problema”.
L’immagine che Montgenèvre dà di se attraverso le newsletter del municipio e il suo sito web si mischia con quella di piccolo paradiso di montagna data dall’ ufficio turistico; da parte degli abitanti, il fatto di non parlaredi ciò che accade è volto a difendere il clima pacifico nelle interazioni sociali quotidiane, proprio lo stesso che il territorio ha interesse di difendere.
Il silenzio del Monginevro è lo strumento con cui residenti e lavoratori mantengono le relazioni sociali in uno stato di “normalità”, come prima che la città diventasse una zona di transito, e si proteggono per non rischiare danni d’ immagine nel paesaggio sociale locale.
Perché se “qualcosa è noto”, all’ interno di una micro-società come quella di un piccolo villaggio, ciò assume una importanza enorme a livello locale.
Per esempio: M. è una giovane ragazza che aiuta quando può. Ma i suoi genitori sono contrari e lei non vuole che lo sappiano.
Quindi deve essere più discreta. Visto che i nomi degli individui sono associati ai luoghi del villaggio, si è tutti ancora più esposti alle voci:tra vicini di casa ci si attribuiscono posizioni “pro” o “anti”, ci sono accuse tra colleghi ecc.
Inoltre, la stazione combina le relazioni interpersonali, la reputazione personale, con la sfera di lavoro. Ai vertici della gerarchia, i responsabili dei dipendenti della Direzione (gestore delle piste, gestore degli impianti di risalita e responsabile operativo) lavorano a Monginevro da oltre 30 anni, sono vicini al sindaco e persino membri del consiglio comunale. In ambienti sociali così ristretti, la questione della posizione che si assume, all’ interno di un ordine sociale, è fondamentale nella misura in cui il gruppo ha molto potere sull’individuo:
si può isolare un business giocando con le voci di paese, influenzare la carriera di qualcuno all’interno della stazione ecc.
Un certo conformismo comportamentale, o almeno una buona discrezione, sembra essere una soluzione per proteggere il proprio posto nell'”ecosistema”.
La natura altamente competitiva dell’economia del turismo ha un impatto sul modo in cui la gente percepisce la situazione alla frontiera. Un manager di un hotel a 4 stelle crede fermamente che ci sia un legame tra la visibilità della situazione al confine e il successo della stagione: “Quest’estate c’erano meno clienti, la situazione ha sicuramente giocato un ruolo in ciò. I vestiti lungo la strada, ti fanno pensare. (…..) Occorre trovare un equilibrio tra l’aiuto umanitario e la vita sociale ed economica locale. I turisti non possono farci niente con tutto questo! Noi cerchiamo solo la nostra fonte di sostentamento, capisci?”.
Un altro albergatore mi dice che questa visibilità data al confine fa parlare i turisti, portando potenzialmente a dibattiti accesi tra i clienti e persino a tensioni; lui punta quindi sull’ equilibrio precario che garantisce il soggiorno roseo e paradisiaco che i commercianti vogliono vendere ai loro clienti.
Secondo il direttore di una società di noleggio, quando c’è uno scandalo nel comprensorio, “coprire la cosa “, è una strategia che si basa sul contributo di tutti poichè tutti hanno qualcosa da guadagnare a livello locale se la storia non esce. Nonostate lui stesso ammetta di assistere ogni giorno ad arresti da parte della polizia, resta fermo sulla sua “parte” rassicurando in anticipo i clienti: “Alcuni clienti ci chiamano e chiedono “incontreremo i migranti? O non troppo?”. Rispondiamo che il Monginevro ha raramente eventi tragici, che è più sul versante italianoche ciò accade.”
Questo tipo di discorsi e di narrazione contribuisce a invisibilizzare la situazione di confine e la presenza di migranti nel comune di Monginevro.
“La località di Monginevro è un luogo turistico che lavora a pieno regime, e come al solito c’è indifferenza, nessuno parla granchè. Non interessa a molte persone. Tutto ciò è diventato qualcosa che c’è e basta, che non vediamo davvero, anche perché non vogliamo vederlo.
L’obiettivo è vendere pacchetti e vendere sogni a turisti facoltosi. La polizia è lì, loro non sono veementi, non sono troppo invasivi e fastidiosi. C’è pace sociale in tutto ciò. Tutti sono molto contenti che non ci siano più migranti di quelli che vediamo oggi. Se le cose sfuggissero di mano, non sarebbe bene per gli affari, se ci fosse più polizia non andrebbe bene per gli affari.
I turisti sono lì, non lo sanno nemmeno della situazione, nessuno li informa.
Tutti gli abitanti ne sono consapevoli, ma questo non impedisce a nessuno di lavorare.
C’è un’ apparente indifferenza dovuta a diverse cose: ci sono persone a cui non importa davvero, c’è una sorta di rassegnazione di fronte a un problema che va oltre, oltre il contesto locale, il ciò fa sentire inermi oltre al fatto che il tutto è diventato parte della vita quotidiana e che la vita continua.”
Intervista a N., 12/01/2019
In due anni, ci si è abituati alla presenza di migranti sul territorio come gruppo cacciato (e quindi relativamente nascosto), come attori di un “gioco” di routine del “gatto e del topo”.
Non si distingue tra la legittimità di alcune persone anch’ esse di fatto immigrate ma che sono lì per altri motivi (salire su una seggiovia, entrare in un albergo o in una navetta privata, per esempio) ed altre.
Così, l’ordine sociale implicitamente validato dal comportamento degli abitanti (a volte in opposizione con la loro posizione ideologica) è un ordine in cui “migranti” non sono troppo visibili e continuano a nascondersi, gli agenti di polizia continuano a fare il loro giro di pattuglia per fermarne alcuni, e la vita di Monginevro continua come ha sempre fatto, senza soffrire di alcun impatto, né economico, nè sociale e nè psicologico.
Pertanto, ciò che viene considerato inopportuno, inquietante, è l’aperta opposizione a questo ordine sociale.
Le associazioni che denunciano la situazione alla frontiera cercando di visibilizzarla sono percepite come dei problemi, e come minacce, molto più che i “migranti” stessi. In termini di immagine: le associazioni hanno messo contro di sè più persone di quante ne abbiano avvicinate. A Clavière, l’occupazione che c’è stata tra marzo e ottobre 2018 sotto alla chiesa, per farne uno squat per le persone che attraversavano il confine, ha contribuito a rendere più visibile la presenza dei rifugiati e dei solidali. Tuttavia, secondo il sindaco di Clavière, è stata l’apertura dello squat la causa principale dell’aumento della presenza della polizia sul versante francese, quindi dei controlli alla frontiera e quindi di una maggiore concentrazione di esiliati nel comune in quanto il passaggio sarebbe diventato più difficile – da tutto questo una maggiore visibilità della “questione migratoria”. L’occupazione della chiesa avrebbe quindi fatto indisporre la popolazione locale, innescato il boom mediatico, sconvolto i turisti… tanto che “noi” non potevamo più “vivere bene”, bene come ai tempi in cui la gente di passaggio era invisibile.
Il sostegno che questo posto occupato ha fornito alle persone di passaggio non è nemmeno considerato dagli attori locali di cui parliamo, il che solleva la seguente questione:
chi dovrebbe “vivere bene” nella zona di frontiera?
In pratica, anche secondo chi la difende ideologicamente, la solidarietà verso chi attraversa il confine dovrebbe fessere “accettabile”, cioè non troppo dannosa-rischiosa per l’attività turistica locale: non dovrebbe danneggiare il paesaggio, gli edifici, non essere esposta nello spazio pubblico…
Il prerequisito che nulla attenti all’immagine del territorio, agli occhi dei turisti, spiega perché la principale lamentela che gli abitanti di Monginevro e i lavoratori hanno portato nei confronti dei “migranti” riguardasse le cose che essi si lasciano alle spalle durante la loro traversata in montagna: questo elemento emerge sistematicamente durante le interviste.
La semplice menzione di esiliati può scatenare fortissimi attacchi di rabbia da parte dei locali perchè li associano immediatamente all’idea che essi “sporcano la montagna”, come per un albergatore che sostiene che “inquinano l’immagine e il territorio”.
Lontani dall’ incuriosirsi e interessarsi alle condizioni in cui le persone attraversano queste montagne, i locali danno luogo a una serie di speculazioni negative basate sull’ abbandono di vestiti lungo i sentieri: a volte è stato detto che loro lascino questi vestiti per danneggiare direttamente la zona che attraversano, poi si sono diffuse voci che lo spogliarsi sia una strategia usata per ottenere cure e la pietà degli agenti di polizia, o addirittura delle associazioni.
Queste fantasie si nutrono dell’ immaginario diffuso dai media e dai discorsi dei politici che additano i “migranti” come truffatori, manipolatori, criminali.
In questo scenario , B., residente a Monginevro e volontaria al Rifugio, è stata attaccata dai suoi vicini che le hanno chiesto di scegliere “da che parte stare” tra la difesa del proprio territorio locale e la difesa degli esiliati. Lei quindi si è chiesta: “Tutti dicono: “Hai visto lo stato in cui lasciano la montagna!?” (…..) Ma non è sporcizia! (…..) E poi l’inquinamento, quando sono i turisti a farlo? Non diciamo nulla. (…)”
Così, ciò che si presenta come “sporco” nell’occupazione della chiesa o nei vestiti abbandonati in montagna è in realtà solo un modo per riferirsi al disagio che nasce rispetto alla differenza con l’ ambiente circostante, per come questo è stato venduto ai turisti, per come questi ultimi se lo aspettano al loro arrivo.
Come disse un albergatore: “Le dimostrazioni spaventano la gente. Gli fanno vedere cose che non vogliono vedere” (Intervista con N., 15/03/2019).
Così, eliminare gli stranieri che non siano turisti, rimuovere le tracce della presenza di esuli, è una sorta di parola d’ordine implicita che è stata assimilata da tutti gli abitanti della zona transfrontaliera.
Conclusione: “per la pace sociale “
Il clima di sfiducia, la pressione sociale tra gli abitanti dei villaggi e la precarietà dell’occupazione nel settore turistico spiegano perché, con poche eccezioni, nessun cittadino del Monginevro sia coinvolto nelle reti di solidarietà nate nel brianconnese.
Tuttavia, mi sono stati raccontati molti “piccoli gesti”, dal parlare con la polizia per distoglierne l’ attenzione, alla distribuzione di calzini, o di una o due coperte o di un biglietto, dalla fornitura di informazioni alla semplice parola di incoraggiamento, dall’ offerta di un caffè o un bicchiere d’acqua in un bar, a una pausa in una baita o un pasto in un ristorante… le persone affamate ed esauste che arrivano nella stazione o nel villaggio di Monginevro possono avere regolarmente la possibilità di incrociare sui sentieri qualcuno che darà loro una spinta decisiva per l’attraversamento.
Ma questa solidarietà rimane nascosta, per non perturbare il funzionamento della località turistica da cui tutti dipendono. In nome del proprio interesse a “preservare” il territorio, anche gli abitanti che vogliono sostenere gli esiliati finiscono per accettare la “routine” della frontiera, e ad accettare una situazione che, di fatto, va nella direzione della chiusura del passaggio e del rafforzamento delle politiche repressive nei confronti dei migranti.
Ad esempio, N., un dipendente della stazione sciistica che critica “l’ecosistema pacificato locale”, sostiene: “Se si inizia a intaccare il business (….), a giocare sul turismo, andrà tutto all’inferno[sic]. I fascisti saranno ancora più fascisti, e tutti ne daranno la colpa ai migranti. Fortunatamente, tutto è rimasto contenuto. Fortunatamente per la pace sociale, per il funzionamento della regione. Fortunatamente, in qualche modo, c’è stata l’apertura del percorso migratorio di Bayonne. E poi c’è stata anche la chiusura dell’Italia. Il tutto rimane di entità invisiile, non prende il sopravvento sulla vita quotidiana delle persone e dei turisti.”
(Intervista con N., gennaio 2019)