Milano – 25 ottobre Presidio al CPR di via Corelli
Fonte: Hurriya
Una nuova prigione per gli esclusi, un vecchio rimedio degli inclusi.
È incredibile, ma in un momento come quello che stiamo vivendo, tra paure e impoverimento generalizzato, chi governa la città non trova niente di meglio che aprire una nuova prigione.
Gente che, partendo da paesi in cui l’ansia di profitto dei predatori ha rubato terre e risorse offrendo in cambio guerre, quando riesce ad arrivare in questo paese, senza perdere la vita in mare o alle frontiere, cosa trova? Barriere, barriere mai riservate a chi viene dalla parte “giusta” della terra. Barriere che lo obbligano a controlli fisici, psicologici, burocratici, incolonnato come bestiame, selezionato, diviso dai suoi affetti, infilato in strutture dentro le quali dovrà chiedere, chiedere tutto. Con garbo e obbedienza, perché è indesiderato. E poi il girone infernale delle carte da fornire per avere il permesso di restare, per ottenere il privilegio di restare. E la minaccia è nel rifiuto delle richieste, nel vuoto totale che gli si aprirà davanti se qui non lo si accetta. Un rifiuto diventa, lui o lei stessa, da ricacciare indietro e, intanto, rinchiudere in un CPR.
Centro per il Rimpatrio, prigione, lager perché, come per quelli di orribile memoria, si tratta di detenzione amministrativa. Rinchiusi, e nemmeno come punizione per un reato commesso o presunto, ma perché si è privi di un documento. Un documento che è chiaramente un pretesto essendo, per chi è stato reso clandestino, difficilissimo da ottenere. Dentro quelle mura resterà mesi, trattato da quel rifiuto che qui è diventato, in attesa del rimpatrio. Le condizioni all’interno di questi centri sono ormai conosciute, ampiamente. Ammassati insieme a sconosciuti provenienti da luoghi e culture diverse, a volte incompatibili, con assistenza sanitaria che definire inadeguata è un eufemismo, imbottiti di psicofarmaci per mantenere l’ordine interno, alimentati con cibo insufficiente e avariato, senza assistenza legale. Giornate passate nella passività più totale, nell’attesa di essere ricacciati da dove si è fuggiti per pericolo, per fame o anche solo per desiderio. Vite rubate.
E fuori? Chi vede e sa dell’esistenza di questi nuovi lager, cosa pensa? Che sia giusto rinchiudere gli immigrati? Che siano loro la causa delle difficoltà a trovare un lavoro, a pagare un affitto, a sopravvivere in questo sistema in cui al massimo si galleggia con la testa fuori dalla melma?
Quando si guarda indietro alla storia del novecento, si dice che quegli orrori, quelle persecuzioni non devono accadere mai più. Ma eccoli qui di nuovo. Quelli di oggi non sembrano gli stessi, non li si vuole riconoscere. Invece si tratta della stessa storia, quella in cui si individua un nemico con il quale prendersela, di solito un miserabile più miserabile di noi che viene additato come responsabile delle nostre miserie quotidiane. È una trappola concepita, da tempi immemorabili, da chi governa il mondo per mantenere i miserabili divisi tra loro, per mantenersi in groppa al potere facendo massacrare tra loro i sudditi, che mai devono individuare il vero nemico, mai devono unirsi per aggredirlo, finalmente.
Il 25 ottobre saremo lì, sotto quelle mura che tornano a “ospitare” un centro di reclusione per immigrati senza permesso di soggiorno. Per dire che questo abominio non è ammissibile, che chiunque dovrebbe potersi muovere liberamente, da qualunque parte della terra provenga, senza dover soggiacere a trattamenti così disumani, che il razzismo è una creazione della propaganda dei potenti che fa leva su bassi istinti rancorosi, ma che serve solo a loro per mantenersi saldi nella posizione di comando. Insomma saremo lì per vedere se potrà mai essere possibile trovare la forza, la determinazione, la strada per lottare contro gli orrori odierni.