L’UNHCR-LIBYA SOSTIENE LE AUTORITÀ LIBICHE PER MALTRATTARE I RIFUGIATI?

L’UNHCR-LIBYA SOSTIENE LE AUTORITÀ LIBICHE PER MALTRATTARE I RIFUGIATI?

7 Dicembre 2021 Non attivi Di passamontagna

traduzione dell’articolo apparso il 3 dicembre su www.refugeesinlibya.org, sito creato da poco dai migranti in sit-in da più di due mesi davanti alla sede dell’UNHCR in Libia.
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All’inizio del mese di ottobre, le autorità libiche e i suoi reparti di sicurezza, compresi corpi militari di diverso tipo, hanno sgomberato l’intero quartiere di Gargaresh, una zona abitata da migliaia di rifugiati, richiedenti asilo e migranti. L’UNHCR nega di essere stato informato di questo progetto attuato contro persone sotto la sua protezione, che vivevano nel quartiere.
Come potrebbe un governo effettuare incursioni così massicce e violente contro rifugiati e richiedenti asilo senza informare la commissione responsabile degli affari dei rifugiati stessi?

Informazioni reperite, dicono che l’UNHCR, l’IOM e altri protagonisti chiave del governo libico hanno avuto una riunione per discutere le questioni relative alle politiche migratorie e ai rifugiati prima dell’attacco a Gargaresh. Durante l’attacco e i raid, la maggior parte delle vittime erano rifugiati e richiedenti asilo che il governo aveva l’obbligo legale di proteggere, e che invece sono stati ammassati come criminali e poi detenuti arbitrariamente in centri di detenzione disumani sia ufficiali che non ufficiali. Ci sono voluti giorni per compiere lo sgombero e a una settimana di distanza dall’inizio l’UNHCR ancora non aveva preso posizione su questi incidenti e sulle sofferenze che i rifugiati sotto la sua giurisdizione hanno dovuto subire: gli stupri, la tortura, l’estorsione, il lavoro forzato, e le gravi violazioni dei diritti umani equivalenti a crimini contro l’umanità.

Tuttavia, dopo una settimana di fame e torture, i già moribondi rifugiati e richiedenti asilo detenuti nel cosiddetto centro di detenzione Al Mabani sono riusciti a fuggire al costo di decine di morti e centinaia di feriti. Tutti si sono diretti verso la sede dell’UNHCR di Seraj, sperando di essere protetti e di mettere fine alle paure infinite che avevano vissuto mentre erano nei territori libici. L’UNHCR invece di prendersi carico della situazione, ha chiuso le sue porte e sospeso tutte le sue attività nel centro diurno comunitario dove migliaia di persone si erano accampate chiedendo con fermezza di essere evacuate in paesi dove potessero essere protette.

Questi rifugiati si sono poi auto-organizzati e hanno iniziato una manifestazione pacifica chiedendo l’evacuazione del campo, estendendo i loro appelli alle autorità libiche per liberare i detenuti. Tuttavia tutte le richieste sono state rispedite al mittente senza una sola reazione da parte del governo e l’UNHCR è rimasto in silenzio.

Il 12 ottobre, l’UNHCR ha tenuto un incontro con i rappresentanti dei manifestanti e ha discusso diverse cose, ma non è stata trovata una soluzione accettabile. L’UNHCR ha quindi portato il ministro dell’immigrazione illegale Al Khoja e il leader della comunità del quartiere Seraj. Pochi istanti dopo la partenza del convoglio, un giovane sudanese è stato colpito a morte da milizie sconosciute con l’obiettivo di spaventare i manifestanti, mostrando cosa sarebbe potuto accadere se gli stessi si fossero rifiutati di collaborare: le autorità libiche avevano infatti proposto di deportare i manifestanti nel centro di detenzione di Ain Zara, ma i rifugiati avevano rifiutato l’offerta sapendo esattamente cosa sarebbe successo loro dietro le sbarre.
Il 13 ottobre, l’UNHCR ha convocato una seconda riunione e ha ribadito le sue richieste ai manifestanti, quella di disperdersi e di evacuare il centro diurno comunitario. Hanno minacciato di chiudere permanentemente l’ufficio e di ammainare la bandiera, dicendo che l’unica garanzia di sicurezza per i manifestanti era la bandiera dell’UNHCR sull’edificio e che una volta ammainata sarebbero stati attaccati dalle milizie e dai vicini, che già si sentivano stanchi delle folle in protesta. I rifugiati hanno ignorato tutte queste minacce mentre marciavano verso la libertà e la protezione con le loro ultime forze.

Durante il sit-in i rifugiati sono stati costantemente minacciati, picchiati e derubati sia da milizie sconosciute che dai vicini. L’UNHCR ha taciuto su tutte queste atrocità che i suoi rifugiati hanno subito.

Non solo.

L’UNHCR ha rifiutato di fornire rifugi, assistenza medica e altri aiuti salvavita ai rifugiati che si sono accampati presso il suo ufficio principale; hanno invece optato per assistere le persone in luoghi più decentrati, che non erano stati colpiti dal violento attacco di Gargaresh.

Poi, il 31 ottobre, l’UNHCR ha convocato il terzo incontro, questa volta con il capo missione dell’UNHCR Jean Paul Cavalieri. Decine di questioni sono state discusse e i rifugiati hanno espresso le loro precarie condizioni di vita e sono rimasti fedeli alla loro richiesta di evacuazione. I rifugiati hanno chiesto all’UNHCR di sostenere il rilascio dei loro fratelli detenuti in condizioni disumane, che sono esposti a stupri, torture, estorsioni ecc.
L’UNHCR ha detto che non è in grado di proteggere i suoi rifugiati e richiedenti asilo, e inoltre non evacuerà i rifugiati che accampati sotto il loro ufficio. Hanno anche detto che sosterranno il rilascio dei detenuti solo se i manifestanti si disperderanno e se ne andranno dalla loro sede.

In seguito, l’UNHCR ha inasprito e fortificato le sue forze di sicurezza, vere e proprie milizie armate a guardia del suo ufficio principale. Il 7 novembre, i manifestanti che stavano pacificamente agitando i loro cartelli sono stati gravemente picchiati e feriti dalle guardie armate dell’UNHCR; il giorno seguente un ragazzo è stato accoltellato dalle stesse guardie. Poi, il 24 novembre, l’UNHCR ha ordinato alle sue milizie armate di bruciare le tende dei rifugiati senza tetto. E fino ad oggi l’UNHCR non ha risposto alle domande poste dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani e dagli attivisti tra i rifugiati. Hanno continuato a ignorare le sofferenze dei rifugiati accampati nel loro ufficio.

Senza vergogna, ieri 2 dicembre l’UNHCR ha fatto un comunicato stampa in cui annunciava che il suo centro comunitario diurno avrebbe chiuso entro la fine dell’anno. Esso recita:

“Il centro diurno comunitario (CDC) chiuderà entro la fine dell’anno.
È con profondo rammarico che l’UNHCR e i suoi partner annunciano la chiusura del centro comunitario diurno di Tripoli. Poiché non siamo stati in grado di aprire il centro per la maggior parte degli ultimi due mesi, crediamo che il modo migliore per aiutare coloro che cercano di accedere ai nostri servizi nelle aree urbane di Tripoli sia quello di sviluppare ulteriormente soluzioni alternative.
Insieme ai nostri partner, CESVI e IRC (l’International Rescue Committee), stiamo lavorando duramente per trovare soluzioni per continuare a fornire servizi salvavita ai rifugiati vulnerabili e ai richiedenti asilo, come precedentemente fornito al CDC. Questo include servizi medici e psicosociali, la fornitura di assistenza di emergenza in denaro e articoli di soccorso di base, così come la consulenza legale (fornita da NRC, il Consiglio norvegese per i rifugiati).
La fornitura di assistenza di emergenza in contanti in altre parti di Tripoli è già iniziata e, per quanto possibile, ci sforzeremo di rafforzarla includendo cure mediche, contanti di emergenza, cibo e rinnovo della documentazione UNHCR.
Per i casi urgenti, i nostri numeri della hotline elencati qui sotto rimangono disponibili:
Aree urbane: (0917127644)
Registrazione: (0919897937)
NRC call center per rifugiati e richiedenti asilo, compresa la consulenza legale: (0910228833)
Assistenza medica per casi urgenti: (0910354839)
Bengasi call center: (0910007218)
Partner:
CESVI (0910027716/0922767166
IRC (0910354839)”

Questa mossa ha lasciato i rifugiati sconcertati, a chiedersi perché l’UNHCR abbia scelto di abbandonarli a questa orrenda situazione. La vera domanda è: per quanto tempo l’UNHCR deve chiudere e sospendere tutte le sue attività nella sua sede e nei suoi locali sostenendo che i manifestanti stanno impedendo ad altri manifestanti più vulnerabili di accedere ai loro servizi? Tutto cio’, mentre lavora segretamente in diversi luoghi a persone che non sono state colpite dallo sviluppo di Gargaresh, lasciando le donne e i bambini più vulnerabili a dormire per strada? E dopo la chiusura del suo centro diurno comunitario, dove devono andare i rifugiati senza casa e senza riparo? Cosa impedisce all’UNHCR di fornire loro una sistemazione temporanea? L’UNHCR sta forse dicendo alle milizie, guardate qui ci sono le vostre prede, venite a cacciarle?

L’UNHCR collabora da tempo con il governo libico nei punti di sbarco dei rifugiati e dei richiedenti asilo intercettati nel Mediterraneo dalle cosiddette guardie costiere libiche. Arrivati in questi punti di sbarco, le persone in movimento vengono ingannate con biscotti e acqua dalle autorità, che promettono loro la libertà e di fare il possibile per portarle in salvo. A questo punto alle vittime traumatizzate ed esauste dei respingimenti alla frontiera dell’UE viene data una speranza che dura solo per ore: quando il processo di sbarco è fatto, il personale dell’UNHCR si allontana lasciando questi rifugiati a destini completamente sconosciuti o meglio, ben pianificati e progettati dagli stati italiani ed europei.

Vengono portati in centri di detenzione inaccessibili all’UNHCR, che sanno esattamente cosa succede alle donne e ai bambini detenuti in questi campi di concentramento. Fingono e fanno pubblicità nei media mentre in realtà la Libia è un inferno ardente per gli immigrati e i rifugiati.

Mentre parliamo, migliaia di rifugiati e richiedenti asilo sono ancora detenuti in campi di concentramento disumani gestiti dalle milizie libiche, sia ufficiali che non ufficiali. L’UNHCR ha finora ottenuto il rilascio di 115 detenuti in due diverse operazioni: la prima l’11 novembre, quando 57 persone sono state rilasciate dal centro di detenzione di Ain Zara dopo il loro arresto in ottobre; la seconda il 23 novembre, quando 58 richiedenti asilo sono stati rilasciati dal centro di detenzione Tariq Sekka.

Ad oggi, l’UNHCR continua ad ignorare le chiamate dei rifugiati che desiderano protezione e sono ora abbandonati in luoghi inadatti a vivere, senza accesso a servizi igienici, assistenza sanitaria, cibo e rifugi. L’UNHCR continua a fare complotti contro rifugiati innocenti.

I problemi dei rifugiati rimangono irrisolti con destini attribuiti dagli stati dell’UE e poi abbracciati dai libici nei loro territori.

Continuiamo a chiedere protezione ed evacuazione in paesi dove possiamo essere protetti e rispettati. L’UNHCR dovrebbe essere chiaro e trasparente se non è in grado di proteggerci. Dovrebbero chiudere tutti i suoi uffici e uscire dalla Libia, lasciarci morire sapendo che non abbiamo nessuno che lavora e beneficia della propaganda fatta sui nostri nomi.