Ventimiglia: i processi finiscono, la violenza in frontiera continua

Ventimiglia: i processi finiscono, la violenza in frontiera continua

12 Maggio 2022 Non attivi Di passamontagna

da – Presidio permanente No Borders – Ventimiglia

Nei prossimi mesi si chiuderà presso il tribunale di Imperia il processo, iniziato nel giugno 2019, per l’occupazione nel 2015 della pineta dei Balzi Rossi, a pochi passi dal confine tra Ventimiglia e Mentone.
Nell’estate 2015 in questo luogo di frontiera prendeva vita l’esperienza del campo autogestito noto come “presidio permanente no borders”. Il campo era nato a giugno dalla protesta delle persone migranti di fronte alla chiusura della frontiera da parte dello stato francese, ed al tentativo dell’Italia di ridurre il tutto ad un problema di ordine pubblico. Centinaia di persone avevano marciato verso il confine e si erano accampate sugli scogli. Perché, nonostante lo schieramento di uomini e camionette della polizia francese e i primi tentativi di sgombero della polizia italiana, stare sulla frontiera era la forma di resistenza che avevano scelto.
We are not going back. Open the border. Gridavano.
Il presidio dei Balzi Rossi non era nato dalla volontà delle organizzazioni umanitarie e non contava sulle risorse di queste ultime. Allo stesso modo il campo sfuggiva alla volontà degli stati europei di gestire e ghettizzare le persone, di “controllare i flussi” come dice chi governa. Il presidio permanente no borders è stato un’esperienza autogestita attraversata dalle più diverse realtà sociali e politiche, da attivist* e volontar* accors* da tutta europa per sostenere la protesta delle persone senza documenti. Migranti e solidali si organizzavano insieme contro la frontiera e al momento dello sgombero, il 1 ottobre del 2015, eravamo ancora lì, insieme, come nei quattro mesi di lotta che avevano preceduto quel momento.
Dopo lo sgombero dei Balzi Rossi, a partire dalla primavera del 2016, la violenza del confine ha cominciato ad assumere un carattere sistematico fatto di repressione e controllo del territorio frontaliero. Chi veniva fermat* nel tentativo di attraversare il confine ha cominciato a essere deportato in campi (Centri di accoglienza. Sic.) del sud d’Italia e gli sgomberi dei rifugi di fortuna, nati spontaneamente dal bisogno e dalla volontà delle persone senza documenti, sono diventati la norma, cosi come il prelievo coatto e violento delle impronte digitali.
Il 30 maggio 2016 circa 150 persone migranti cercarono rifugio nei locali della chiesa di San Nicola per sfuggire ad una massiccia operazione di deportazione. La giornata era iniziata con lo sgombero di un campo autogestito lungo il fiume Roya e proseguita con identificazioni razziali e rastrellamenti in città, controlli capillari in stazione, e l’imbarco forzato di decine di persone migranti su un volo diretto in sud Italia. In serata la polizia italiana fece irruzione nella chiesa, sottoponendo a fermo tutte le persone solidali e rilasciandole ore dopo con una decina di fogli di via e svariate denunce. Le persone migranti risposero a queste violenze con una lunga marcia verso il confine che si concluse con l’ennesimo sgombero violento.
Nei mesi successivi a questi episodi a più riprese si tentò di ricreare spazi di autodeterminazione che permettessero di organizzarsi insieme per resistere alle necessità e alle violenze della vita in frontiera, ma anche per difendere uno spazio libero e rivoluzionario in cui opporsi al dispositivo di confine tra Ventimiglia e Mentone. La risposta delle autorità fu di rendere la frontiera sempre più lunga, profonda, tentacolare, dura da attraversare. La repressione del dispositivo di frontiera è talmente tanto lunga che nel 2022 trentacinque persone solidali sono ancora a processo per cose successe sei o sette anni fa, mentre nel frattempo oltre trenta persone sono morte attraversando questo confine.
Che interesse abbiamo a parlare ancora di quello che accadde nel 2015 e nel 2016?
Ribadire una volta di più che non si può ridurre alla responsabilità di una quarantina di persone un’esperienza che ne ha coinvolte migliaia, con un protagonismo e una spinta di base forte da parte delle persone senza documenti, che ancor oggi subiscono un regime di controllo che non riconosce alcuna libertà di movimento.
Non ci interessa insomma la postura dei poveri solidali bianchi che non capiscono perché lo stato se la prenda con loro. Fa parte delle strategie statali ridurre i movimenti rivoluzionari (sì, le migrazioni sono anche questo) a processi a poch* individu*, facendo finta di non vedere la potenza di un agire collettivo.
Ci interessa invece ricordare che mentre noi solidali scontiamo con denunce e condanne il nostro rifiuto ad accettare il regime di frontiera, altre e altri hanno pagato e continuano a pagare al prezzo di violenze, deportazioni e detenzioni arbitrarie la determinazione ad attraversare questo maledetto confine. Queste persone si scontrano ogni giorno con la fatica della vita in frontiera, con il prezzo dei passaggi organizzati, con la vita per strada, il razzismo, le armi puntate addosso, la sete, la fame, il freddo, i disturbi mentali, lo sfruttamento e, per alcuni/e, la morte.
A distanza di quasi sette anni insomma la frontiera è una merda più di prima.
“Forse più che imputarci i crimini che abbiamo commesso, dovrebbero evidenziare quelli che non abbiamo voluto commettere: identificazioni razziali, violenza, deportazioni.”
Sarà benvenuta una presenza solidale, fantasiosa e rumorosa davanti al tribunale d’Imperia.

Prossime date:
– 5 maggio alle 10:30, udienza del processo per i fatti del 30 maggio 2016
– 23 maggio alle 9:00, udienza del processo per l’occupazione dei Balzi Rossi del 2015
– 9 giugno alle 10:30, discussione processo per il 30 maggio 2016
– 27 giugno alle 12:00, discussione processo Balzi Rossi
Noi non ci fermiamo qui.

We are not going back.