Alle frontiere dell’oppressione

Alle frontiere dell’oppressione

15 Gennaio 2019 Non attivi Di passamontagna

Ripubblichiamo qui le riflessioni di un gruppo di compagn*, in seguito ai recenti avvenimenti di repressione alla frontiera franco-italiana contro le persone migranti e solidali.

++ bozza di un pensiero contro le frontiere di stato e le frontiere di classe. ++

pubblicato Mercoledi 9 Gennaio su La Canarde

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La mobilitazione contro le frontiere – che essa si materializzino come linea tra gli stati, in ogni sbirro, nelle stazioni, negli aeroporti e nelle amministrazioni, e in ogni spirito scresciuto in Occidente – dura ormai da due anni nella zona di Briançon, terra che non ha conosciuto lotte in precedenza anche per l’assenza di una classe operaia organizzata.
Da due anni, la frazione definita la più radicale nell’insieme dei gruppi e individui mobilizzati, ha avuto una mancanza nel dibattito condiviso, nel definire i propri
obiettivi e nel formare un pensiero comune, spaccata tra volontà di riconciliazione per ampliare il sostegno, e i propri a priori su e contro il funzionamento della frontiera e delle menti. E facendo difficoltà a conoscersi.
Queste persone, ladri di galline e donne poco affidabili, si sono incontrate, hanno discusso e iniziato a porre sul piatto un pensiero di lotta indispensabile nel brian
çonese.

Il 10 gennaio 2019, due compagni compaiono davanti al tribunale correzionale di Gap. Sono accusati di aiuto al passaggio illegale della frontiera franco-italiana, nei pressi di Briançon.
Non c’è il tempo di indignarsi e nemmeno di sorprendersi. Il controllo delle frontiere, il passaggio consentito o no alle merci e agli umani è una prerogativa esclusiva e essenziale degli stati.
Ciò si incarna nella persecuzione quotidiana e nella messa in pericolo da parte degli sbirri (forze dell’ordine) contro tutti.e coloro che cercano di entrare e vivere in Francia senza avere
i buoni documenti.
Che si traduce nella stipulazione di accordi con i capi della guerra libiani, il re di Manioc e altri dittatori, turchi o sudanesi. Il concetto: esternalizzazione delle frontiere. Le conseguenze: decine di migliai
a di vite inghiottite dal deserto e dal mare, donne stuprate, sistematiche torture, internamenti di massa nei campi di concentramento, la riduzione alla schiavitù.
Da Khartoum a Calais, dal fil di ferro dei campi libiani alle ronde notturne degli sbirri nelle montagne, una sola e uguale politica.

Chiunque contesti questo monopolio del controllo delle frontiere da parte degli stati, si espone ad una reazione del potere. Reazione che sfocia nei tribunali, attraverso la voce del procureur e della futura sanzione dei giudici. In questo sistema-mondo, la repressione prende molteplici forme: essa può essere economica, poliziesca, penale, più o meno sistematica e brutale seconda la posizione alla quale siamo assegnati nella scala delle dominazioni.

++ Carnaio ++

Questo mondo, questo sistema è un mattatoio. Una corsa senza limite al saccheggio delle risorse, che rende invivibile molte di quelle terre da cui le persone sono obbligate a partire. Estrazione della biomassa, desertificazione, impoverimento dei suoli, siccità e inquinamento massivo dei corsi d’acqua, delle fonti di acqua dolce, scomparsa della biodiversità e dell’impollinamento naturale, la contaminazione chimica e nucleare dei territori… in tutto ciò si declina il carnaio ecologico.
Dall’Amazonia all’Africa Centrale, in Mongolia, in Bielorussia o in Giappone. In ogni luogo.
Insicurezza alimentare di massa, carestie, epidemie, genocidi e altr
e piaghe si abbattono sull’umanità. Sono gli effetti e il cuore della guerra, che essa sia economica, finanziaria o militare.

L’essere vivente in generale è sottomesso ad un comportamento delirante e completamente cannibale del sistema capitalista. Tutto può essere trasformato in merce: dall’acqua potabile al corpo delle donne, dall’AK-47 ai feti.

Questo carnaio lascia delle tracce indelebili di violenza nei percorsi individuali e collettivi. Questo sistema semina morte e deserto. E più che mai, la miseria e lo sfruttamento sono le lotte comuni all’insieme dell’umanità, o quasi. In un tale sistema, prima o poi, chiunque può trovarsi e si ritroverà naufrago, e dovrà ripartire per cercare da altre parti dove e come sopravvivere.
In questa guerra senza pietà contro il vivente e l’umanità, noi siamo tutte e tutti dei futuri naufraghi. Sotto questa logica, tutte e tutti noi siamo merci, risorse e siamo inseribil
i nella logica della reddittività del capitale. La mondializzazione è stata attuata per i profitti delle potenze industriali e finanziarie, nella logica di privatizzazione totale a scapito della depossesione dei molti. La storia dei paesi colonizzati contiene la sua parte di eccessiva sofferenza e sfruttamento, razzismo, negazione dell’individuo, guerre e dominio delle potenze europee.

I monopoli industriali e finanziari occidentali sono stati in grado, grazie al sostegno degli Stati e dei loro eserciti, attraverso l’influenza e la corruzione dei proprietari locali di colonie o ex colonie, di appropriarsi sempre più materie prime, aumentare la loro produzione, appagarsi di nuovi mercati succosi, in regioni dove i costi sono bassi, i diritti salariali praticamente assenti e lo sfruttamento è quasi schiavitù.

++Merce umana e concorrenza++

La migrazione verso l’Europa, per quanto marginale rispetto ai movimenti migratori nel mondo, ha generato negli ultimi anni un rumore mediatico fenomenale.. Questi candidati all’integrazione rappresentano una manna dal cielo in diversi modi. Capri espiatori perfetti in un periodo di retorica dell’insicurezza permanente, permettono di acquistare e fabbricare l’elettorato dell’estrema destra. Essi giustificano quindi il rafforzamento delle frontiere interne ed esterne dell’Europa, e su tutti i possibili territori, dell’uso di attrezzature e mezzi di sorveglianza, controllo, repressione, confinamento, ecc. come parco giochi e mercato lucrativo per l’industria delle armi. Infine, i nuovi arrivati rappresentano una forza lavoro ideale: arrivano nei locali del datore di lavoro a proprie spese, ad un prezzo che sfida ogni concorrenza locale, senza protezione sociale o sicurezza sul lavoro, resi docili dalle difficoltà del viaggio, e gettabile non appena non sono più utili.

I datori di lavoro non si sbagliano quando dicono che questa migrazione è necessaria sfruttabile a piacimento. Come possiamo ancora pensare che l’immigrazione sia un problema oggi quando contribuisce alla crescita, se non per garantire che gli sfruttat* siano messi in concorrenza?

Nelle ex colonie francesi come in Francia, ci si può trovare a lavorare per le stesse imprese transnazionali, più o meno sfruttat* a seconda che si abbia o meno i documenti giusti. Ci si può sentire privilegiati, anche se la “crisi” (che è solo una riorganizzazione della produzione capitalistica) colpisce anche la popolazione in quanto il suo tenore di vita diminuisce. I licenziamenti massicci nei centri industriali (ex Arcelor Mittal) stanno rovinando la vita di molti lavoratori e non sono dovuti alla migrazione di persone, ma alla migrazione di macchine e investimenti, dove i costi di produzione sono più attraenti, più “competitivi”.

I migranti sono accusati di essere concorrenti sul mercato del lavoro, ma anche di essere sfruttati. I camionisti francesi hanno sentito dolorosamente l’arrivo dei lavoratori dell’Europa dell’Est sotto forma di una maggiore pressione da parte dei loro capi sulle ore, sulle tariffe orarie, ecc.

Il ritiro nazionalista e xenofobo che si sta diffondendo e che può sembrare una “minaccia alla democrazia” è comprensibile in questo contesto di insicurezza economica, sofferenza e precarietà, che sono solo gli effetti concreti della violenta concorrenza del proletariato.

++ Valore(i) ++

Libertà, uguaglianza, fraternità. I valori invocati dallo Stato nella sua storia moderna sono stati e rimangono vari modi di rivestire la logica dello sfruttamento per giustificarla, indipendentemente dai riferimenti utilizzati: superiorità razziale bianca, scientismo, positivismo, sviluppo, diritti umani. Tutti gli universalismi nati negli ambienti intellettuali dei paesi conquistatori erano altrettanti valori mobilitati dalla classe dirigente per difendere i propri interessi industriali, economici, culturali e di altro tipo.

Lungi dall’essere ideali che l’usura del funzionamento delle istituzioni democratiche avrebbe distorto, questi valori sono stati la bandiera con cui il capitalismo ha indossato il suo passaggio come sistema dominante del mondo. E questa bandiera non è già altro che un panno sporco e gettato nella pattumiera della storia dall’alto.

Inoltre, non si sbagliano le cagne-i di guardia del sistema, i cronisti autorizzati e gli altri pensatori reazionari, che si affidano a questi valori ormai solo per giustificare la chiusura dello spazio interno, dove saranno protetti da una parte “barbarica” esterna: la sicurezza, forse liberticida in nome della libertà, o l’uguaglianza all’interno di una parte scelta della popolazione. Lo scoppio del disprezzo, in nome dei valori repubblicani, che si è manifestato nelle ultime settimane contro coloro che sono scesi in strada e nelle rotonde, affermando il loro rifiuto di essere governati e cercando di connettersi e organizzarsi di conseguenza, fa parte dello stesso meccanismo. Lì, i “barbari”, qui, le “folle odiose”. In pericolo, i valori. E per difenderli, forza.

Oggi, lo Stato dispiega una milizia alle sue frontiere per controllare e rintracciare gli esiliati. Delle maraudes si stanno organizzando per aiutarli, non perché le montagne, la neve e il freddo sono pericoli in sé, ma a causa del rischio rappresentato da questo dispiegamento di sicurezza. E la giustizia sta perseguitando coloro che vi prendono parte. Il messaggio è chiaro: chiunque voglia tradurre in azione i valori impressi sul frontone di tutti gli edifici pubblici può finire nel gabbio.

Possiamo dunque aspettarci che un tribunale ristabilisca, in nome di questi valori, un cosiddetto “Stato di diritto” che non è, in ultima analisi, altro che l’espressione di un equilibrio di potere, quello del totalitarismo capitalista e della violenza che lo accompagna sempre e ovunque?

Possiamo invocare questi valori anche in una sorta di assoluto che eliminerebbe la questione fondamentale dei rapporti oppressivi che, tuttavia, condizionano la possibilità della loro realizzazione?

Non vogliamo più credere in questa menzogna. Nella sua guerra contro la vita e l’umanità, questo sistema, di cui lo Stato è solo un ingranaggio, ammette un solo valore: quello del profitto.

++ Et quindi ? ++

Che possibilità c’è di lottare a Briançon, un territorio dove la classe proletaria (lavoratori stagionali nei resort e precari nell’edificio) è atomizzata e in gran parte itinerante, quindi scarsamente organizzata di fronte alla classe sfruttatrice, e che si troverà per strada quando il riscaldamento globale avrà eroso le speranze per gli sport sulla neve? Quale lotta in un territorio dove la classe proprietaria beneficia dello sfruttamento turistico della montagna messa in scena come uno spazio selvaggio, conservato in uno spettacolo caratteristico del capitalismo del tempo libero? Quale lotta possibile in un territorio in cui la polizia ha la responsabilità di assicurare che gli “indesiderabili” siano invisibili in questo scenario da cartolina?

Sfidare questo ordine di confine significa sfidare l’intera industria del tempo libero, che è solo una forma locale di carneficina globale.

Né qui né altrove, non vogliamo che una piccola minoranza prenda decisioni, accumuli ricchezza estorta. Né qui né altrove, non possiamo ignorare la carneficina. Ma può bastare una prospettiva in cui si aiuta un “altro” quando tanti altri rimangono lasciati a se stessi? Possiamo immaginare di estrarre noi stessi dalla carneficina, emancipandoci collettivamente, se non in una lotta comune? Possiamo fare altrimenti che combattere in ogni situazione in cui percepiamo i nostri interessi comuni per riaffermarli e liberarci insieme, a partire da una coscienza di una condizione comune, tra sfruttati e contro gli sfruttatori? Possiamo opporci più a lungo alle politiche razziste statali senza associarci ai principali soggetti interessati, dove essi già si organizzano e combattono? Possiamo combattere la violenza della polizia senza un’analisi sistemica che tenga conto almeno di tutte le prospettive qui menzionate?

P.-S.

Testo ideato e scritto da un collettivo di persone socialmente eterogenee, tutte bianche e con carte nazionali francesi. Questo testo è un primo passo, una versione essenziale per iniziare a gettare le basi per una riflessione di base su una lotta. Se vuoi modificarlo, arricchirlo, svilupparlo, svilupparlo, vai tra.